GENOVA. 24 DIC. Pensare di essere l’ “ultima ruota del carro” è una percezione di sè auto-afflitta. Per converso, pensare di essere “la prima” è un esercizio auto-celebrativo.
Non rilevando, al momento, né il tipo di “mezzo” né il numero di “ruote” di cui è dotato, va tuttavia premesso che ogni sua singola componente, per autoevidenza, assolve ad una funzione portante.
Secondo un presupposto di comodo, alcuni gerarchizzano la questione, ipotizzando il maggiore disagio per la mancanza di una ruota anteriore piuttosto che di una posteriore.
Tuttavia, è risaputo che, a prescindere dalla dotazione complessiva, la mancanza di una qualsivoglia ruota, posteriore od anteriore, comporta instabilità di marcia e rende claudicante ed insicuro l’avanzamento.
Fuor di metafora, andrebbe rivisitato e rivitalizzato il simbolismo usualmente attribuito alla proposizione “sentirsi l’ultima ruota del carro”.
Per buona analogia, non riserviamo all’“ultima ruota” alcuna inferiorità né superiorità alla “prima”, per il ribadito fatto che l’efficienza di un sistema è garantita dalla com-presenza funzionale di ogni sua parte.
In conclusione, rammentando ancora una volta l’importanza del singolo in relazione dell’insieme, preme significare che è sempre e comunque fuori luogo assimilarsi a qualcosa di arretrato né di avanzato.
Tuttavia, se proprio non resistiamo ad identificarci in qualcos’altro, che la scelta avvenga similmente all’appalto pubblico: scartando le offerte estreme e scegliendo quella mediana.
Quindi, se proprio si deve scegliere una “ruota”, pare un buon compromesso privilegiare la “penultima”.
Una saggia rappresentazione collettiva di sé, anche in forza della condivisione del mezzo, della contiguità dei viaggiatori e della comune destinazione.
Massimiliano Barbin Bertorelli